every breath you take || OLLY

By halfspokenwords

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A meno che tu non sia l'unica L'unica per me le altre le vedo Le altre si che le vedo Ma a te ti sento dentro... More

EVERY BREATH YOU TAKE
1. TRASLOCO
2. IL DISCO
3. STRETTA DI MANO
4. PER FINTA
5. CHEESECAKE
6. DONDOLO
7. STILOGRAFICA
8. REWIND
9. COSA VUOI SAPERE
10. PASTA (SCOTTA)

11. PAGO IO

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By halfspokenwords

ma a te ti sento dentro come un pugno

                     Sole

«Ti tocca lavare i piatti,» dico dopo aver assaggiato la pasta. «È talmente scotta che se la tiri al muro si incolla.»

«Non è colpa mia se qualcuna si era attaccata come una ventosa, eh,» risponde lui, ridendo tra un boccone e l'altro.

Faccio la finta offesa, incrocio le braccia. «Come se ti fosse dispiaciuto! Attento, che se ci ripensi ti porto la bombola d'ossigeno.»

Finiamo di mangiare così: tra risate, battute, e prese in giro.

Mentirei se dicessi che non sono al settimo cielo. Questo ragazzo mi sta incasinando la vita — e non poco — ma forse è proprio il suo casino quello che mi serviva.

Anche se nella mia testa continua a ronzare quella vocina. Quella che mi ricorda il discorso fatto in macchina, tempo fa. Niente di serio, ci eravamo detti.

Mi alzo e porto il piatto nel lavandino. Resto lì a sistemare qualcosa sul mobile, per occupare le mani. Federico mi raggiunge, fa lo stesso, poi mi tira piano per la vita verso di sé e mi stringe. Comincia a lasciarmi piccoli baci sulla tempia, leggeri, ripetuti.

Mi volto verso di lui. Ci baciamo di nuovo, riprendendo da dove avevamo lasciato.

Le sue mani mi cercano, le mie si perdono tra i suoi capelli, sulle sue guance. Quando ci stacchiamo per respirare, restiamo lì a guardarci: viso arrossato, fiato corto, occhi lucidi. Lui scuote la testa, sorridendo.

«Usciamo,» dice. «Che se restiamo in casa oggi, facciamo danni.»

Ci prepariamo. Indosso una felpa nera e un jeans, spruzzo il mio profumo preferito e usciamo.

Decidiamo di andare verso il mare. In macchina cantiamo come al solito, con quella leggerezza che ci prende quando siamo insieme. Arrivati, stendiamo il telo sulla sabbia e ci sediamo vicini.

Lo guardo mentre inspira a fondo, distende le spalle come se lasciasse andare un peso. Poi si sdraia, battendo la mano sul petto per farmi segno di stendermi con lui.

Mi lascio andare, poso la testa sul suo braccio. «Possiamo restare così tutto il pomeriggio?» mi chiede, quasi retorico. Annuisco piano.

«Questo rumore, le onde che si infrangono sugli scogli, la risacca... mi manda fuori di testa,» dice piano. Mi sporgo per guardarlo in faccia: ha gli occhi socchiusi, la bocca si apre in un sorriso morbido.

«Sei così legato al mare?» gli chiedo, forse è una domanda banale, ma mi piace sentirlo raccontare della sua vita.

«Da morire. Da ragazzino, ogni volta che io o uno dei miei amici avevamo bisogno di ricaricarci, correvamo al mare. Mangiare insieme, stare lì... ci dava forza. Mi tranquillizza,» racconta, scavando nei ricordi con la voce più dolce.

Resto in silenzio, ascolto il suono della sua voce mescolarsi con quello delle onde.
«Mi piace quando parli così» gli dico, sottovoce.
Lui apre un occhio, mi guarda di sbieco. «Così come?»
«Non lo so... sincero. Senza maschere. Ti viene bene.»

Federico fa una piccola smorfia e si gira leggermente verso di me.
«Con te non mi viene difficile. Anzi...»
Abbassa lo sguardo, poi si morde l'interno della guancia.
«Anzi?» gli chiedo, cercando i suoi occhi.

«No, niente. È solo che... boh, ogni tanto mi fa paura quanto mi sento tranquillo con te. Come se fosse normale stare così. Come se ci conoscessimo da una vita.»

Mi si stringe un po' qualcosa nello stomaco. Lo capisco perfettamente.
E forse è questo che mi spaventa.
Restiamo in silenzio per qualche istante, poi lui prende un sassolino e lo lancia in mare.
«Voglio portarti in un posto, prima che faccia buio.»
«Che posto?»
«Sorpresa.»

Ci alziamo, scrolliamo la sabbia di dosso e torniamo alla macchina. Mi metto io alla guida e parto senza dirgli nulla.

«La sorpresa è una pizzeria?» chiede Federico, confuso.

«No, idiota. Scendiamo, prendiamo due pizze d'asporto e poi andiamo.»

Entriamo. Al bancone, la ragazza ci guarda sorridendo.
«Quindi... una margherita, una capricciosa. E da bere?»

Federico risponde d'istinto: «Due birre.»
«No. Una birra e una Coca Zero,» lo correggo subito. Lui mi guarda come se avessi bestemmiato.
La ragazza annuisce, divertita, e ci porge la nostra cena impacchettata.

Mi avvicino per pagare, ma lui mi sposta con finta autorità.
«Non ci provare nemmeno.»

«Ho scelto io la pizza, pago io.»
Mentre lui cerca la carta, approfitto di un suo momento di distrazione, mi infilo di lato e appoggio la mia per prima. Beep.

Vittoria.

Lui mi guarda con il mezzo sorriso di chi è stato battuto senza capirlo.
Io alzo le spalle, innocente.
«Buona cena, ragazzi!» ci saluta la ragazza del bancone.

Usciamo, busta in mano, e torniamo in macchina.

"Sei pessima veramente. Mi stai ospitando in casa, siamo con la tua macchina, era compito mio pagare le pizze" continua a tormentarmi. "Shh, troppe chiacchiere, e poi hai detto bene sei mio ospite pago io" gli dico mentre lui mette su un finto broncio, "Mi rifarò Ferrara, quando meno te l'aspetti", "Sembra quasi una minaccia" dico ridendo.

Arriviamo. Trovo parcheggio e scendiamo dall'auto.
«Mettiti l'anima in pace: ci sono un po' di scalini, ma ti assicuro che ne vale la pena,» lo avverto.

Lui mi guarda allarmato. «Tipo? Che intendi per "qualche scalino"? Stiamo per fare un pellegrinaggio in Tibet o posso stare tranquillo?»

«Una via di mezzo, dai. Però appena arrivi su ti passa tutto. Andiamo,» rispondo, tirandolo per un braccio verso il sentiero.

Ci mettiamo finalmente in cammino.

La stradina è stretta, tra vecchie mura e gradini sconnessi. Federico mugugna in sottofondo come un nonno ottantenne col mal di schiena, ma lo fa ridendo, e io con lui.

«È lontanissimo?» chiede dopo il dodicesimo sospiro teatrale.

«No. Cioè... più o meno. Guarda, se smetti di parlare ci arriviamo prima.»

«Certo. Sto zitto. Anche se, con il senno di poi, potevamo restare a casa oggi. Se proprio dovevo fare cardio... c'erano opzioni più piacevoli.»

Un secondo di silenzio.

Poi capisco cosa intende.

Mi giro di scatto e lo fulmino.
«Sei un cretino.»

Lui ride. Io lo fisso allucinata ma mi scappa un sorriso. Mi rigiro con le guance in fiamme.

Arriviamo in cima.
E anche se lo conosco a memoria, quel panorama mi arriva addosso ogni volta. Roma, tutta intera. Dal Colosseo al Cupolone. Il cielo appena sfumato, la città ai nostri piedi.

Federico si blocca, serio.
«...Ok. Valeva la pena.»

Sorrido piano.
«Te l'avevo detto.»

Ci sediamo sulla panchina. Appoggio la busta con le pizze e gli passo la sua. La apre con fame e curiosità, ma prima di mordere si gira verso di me.

«Perché mi hai portato qui?»

«Per la vista... ma anche perché prima parlavi del mare. Di come ti aiutasse a ricaricarti. Ecco, per me questo posto era quello. Da ragazzina venivo qui a piangere o a incazzarmi.»

Lui smette di mangiare. Mi guarda.
Silenzio buono. Di quelli che ascoltano.

«Penso si sia capito, non mi piace mostrarmi. In generale, con chi amo o conosco bene sono tutto fuorché timida. Ma con gli altri... mi chiudo. Divento invisibile.»

Abbasso lo sguardo un secondo.
«Però se c'è una cosa che non ho mai fatto vedere a nessuno — mai — è la tristezza. O la rabbia. Le tengo dentro. Mi sembrano segni di debolezza. Così... scappavo qui. E mi ritrovavo.»

Lui prende un morso di pizza, ma continua a fissare un punto nel vuoto. Sembra stia pensando a cosa dire, ma non forza nulla.

«Lo capisco, sai?» dice poi, con un tono più basso. «Non è debolezza. È... sopravvivenza, certe volte. Fare finta che va tutto bene perché sei stanca di spiegare. O di non essere capita.»

Lo guardo.
C'è qualcosa nei suoi occhi, in quel momento, che non avevo mai visto. Non solo empatia. Come se cercasse di leggermi dentro.

Restiamo lì a parlare, con Roma che ci fa da sfondo. Finite le pizze, buttiamo via i cartoni e ci risediamo. Io poso la testa sulla sua spalla, lui mi accarezza i capelli.

«Oggi è volata. Sono stata davvero bene con te. Non devi dirmi lo stesso, solo che... ecco, magari ti fa piac—»
«Sono stato bene anche io, davvero» mi interrompe lui. Io sorrido e mi giro a guardarlo.

«Comunque, qui non ci è mai venuto nessuno con me, quindi non dire agli altri che siamo venuti qui. Non voglio che tutti conoscano questo posto.»
Lui annuisce e mi posa un bacio tra i capelli.
«Acqua in bocca, promesso.»

«Ho io ora in mente un posto in cui andare» mi dice, prendendomi per mano e avvicinandosi alla macchina.

Parcheggia di fronte ad una gelateria. Ci mettiamo in fila, in attesa del nostro turno.
Oggi abbiamo praticamente solo mangiato, ma va benissimo così — al gelato non dirò mai di no.

«Patti chiari: pago io» dice Federico prima che ci servano. Io alzo le mani in segno di resa.
Alla fine decidiamo di prendere una vaschetta da portare a casa.

"Stacca" mugugna nel mio orecchio Federico. Cerco di aprire gli occhi con fatica e di spegnere la sveglia che ci sta massacrando i timpani. Riesco finalmente a trovare il telefono, ma mi accorgo che non è la sveglia, bensì una telefonata. Silvia. Rispondo.

"Buongiorno, stellina. Interrompo qualcosa?" sento la sua voce squillante in vivavoce.

"Il mio sonno e null'altro, dimmi" le rispondo, mentre sento Federico sorridere contro la mia spalla.

"Stavamo parlando e abbiamo pensato che stasera, quando arrivate a Milano, vi veniamo a prendere noi. Abbiamo prenotato un bel ristorante. E poi volevo sentirti... questi giorni, tu e quell'altro scemo non vi siete proprio fatti sentire," dice lei con fare sospettoso.

"Va bene per stasera" dico, sviando completamente la seconda parte del discorso.

"Sì sì, evita pure i discorsi, lo fai perché ti stanno scomodi" mi riprende lei subito.

"Non ho niente da dire" rispondo io, cercando di chiudere lì.

"Sarà... Federico è lì con te, almeno?"

Abbasso lo sguardo. Le sue braccia mi circondano la vita, la testa poggiata sulla mia pancia, le gambe intrecciate con le mie. Non è semplicemente con me. È praticamente incollato a me. Ieri, dopo il gelato ci siamo messi sul mio letto con la tv accesa. Ci siamo addormentati tempo zero, con ancora il telecomando in mano.

"Ehm... no, no. Ieri mi ha accompagnata a fare l'esame, poi ci siamo divisi," dico, senza credere neanch'io alle mie stesse parole.

Nel frattempo, lo scemo qui accanto cerca di non scoppiare a ridere, soffocando la risata contro la mia pelle. Gli do un pizzicotto sul fianco per farlo smettere.

"Ah, capito. Com'è andato l'esame?" chiede infine.

"Bene. Ventinove," dico soddisfatta.

"Grande! Va bene, ci sentiamo dopo. Ah... salutami Federico, cretini."

Ridiamo entrambi e la salutiamo.

«Allora, che si fa stamattina?» chiedo stirandomi pigramente nel letto, la voce ancora impastata di sonno.

Federico apre un occhio, a fatica, e dice: «Si resta qui. A letto. In religioso silenzio. Abbracciati.»

«Religioso silenzio? Tu hai russato fino alle sei, sembrava passasse un treno ogni cinque minuti.»

«Bugia. Io dormo con grazia. Semmai eri tu quella che si rigirava come una lavatrice in centrifuga.»

"Beh, non posso lamentarmi, per la prima parte della notte ho avuto un braccio completamente addormentato, ma anche tu sei un ottimo cuscino," ride lui.
Sorrido e gli infilo le dita tra i capelli arruffati. Si gira verso di me, così siamo uno di fronte all'altra. Chiude gli occhi, sospira, poi mi tira a sé e mi lascia qualche bacio sparso sul collo.

Il mio autocontrollo va a farsi benedire. Non possiamo continuare così, per quanto sia piacevole.
Mi prendo un attimo per godermi quei gesti, poi mi allontano leggermente.

«Dai, su, alziamoci. Non possiamo passare la mattina chiusi qui. Facciamo colazione, prendiamo un po' d'aria, poi andiamo con calma verso la stazione.»

«Dammi un bacio e mi alzo,» mi sfida. Rimango spiazzata. Mi sento come su una montagna russa. Vorrei lasciarmi andare, ma ho paura che tutto possa crollare da un momento all'altro.

«I baci non si chiedono,» rispondo, cercando di nascondere l'imbarazzo.

Federico sorride furbo, si avvicina lentamente e mi ruba un bacio rapido sulle labbra.
«Ecco, ora posso alzarmi tranquillo.»

Sorrido, scuoto la testa e gli do un altro bacio, un po' più lungo questa volta.
«Sei insopportabile.»

Vado in cucina e metto su il caffè. Mentre aspetto che sia pronto, rispondo ai messaggi dei miei genitori, di nonna Sara e compagnia.

«Comunque,» inizia Federico, mettendosi davanti a me e cercando il mio sguardo. «Non so se ti ha dato fastidio prima, in camera. Dimmi se è troppo, se non ti senti a tuo agio.»

Scuoto la testa. Passa qualche secondo di silenzio.

«Ho solo paura di togliere il freno a mano, ti ricordi il discorso in macchina?»
Lui annuisce piano.

«Mi ricordo. Però stavolta sembra tutto diverso. Non fraintendermi, ma non mi sono mai sentito così. Mi sto spaventando anch'io, eppure non riesco a fermare quello che provo.»

Lo guardo, e qualcosa nella pancia fa capriole.

«Andiamoci piano. Vediamo cosa succede, senza correre.»

Lui sorride, mi versa il caffè e sorseggia il suo.
«No, niente corse. Anche se un passo svelto ogni tanto non mi dispiace,» sussurra all'orecchio mentre mi stringe forte.
«Scemo.»

SPAZIO AUTRICE:
Hello!!!
Sono proprio belli 😭😭, mi dispiace quasi farli tornare a Milano, sembravano già marito e moglie. Grazie come sempre per tutto. Al prossimo, bacio!! 💋

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