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ma a te ti sento dentro come un pugno
Sole
«Ti tocca lavare i piatti,» dico dopo aver assaggiato la pasta. «È talmente scotta che se la tiri al muro si incolla.»
«Non è colpa mia se qualcuna si era attaccata come una ventosa, eh,» risponde lui, ridendo tra un boccone e l'altro.
Faccio la finta offesa, incrocio le braccia. «Come se ti fosse dispiaciuto! Attento, che se ci ripensi ti porto la bombola d'ossigeno.»
Finiamo di mangiare così: tra risate, battute, e prese in giro.
Mentirei se dicessi che non sono al settimo cielo. Questo ragazzo mi sta incasinando la vita — e non poco — ma forse è proprio il suo casino quello che mi serviva.
Anche se nella mia testa continua a ronzare quella vocina. Quella che mi ricorda il discorso fatto in macchina, tempo fa. Niente di serio, ci eravamo detti.
Mi alzo e porto il piatto nel lavandino. Resto lì a sistemare qualcosa sul mobile, per occupare le mani. Federico mi raggiunge, fa lo stesso, poi mi tira piano per la vita verso di sé e mi stringe. Comincia a lasciarmi piccoli baci sulla tempia, leggeri, ripetuti.
Mi volto verso di lui. Ci baciamo di nuovo, riprendendo da dove avevamo lasciato.
Le sue mani mi cercano, le mie si perdono tra i suoi capelli, sulle sue guance. Quando ci stacchiamo per respirare, restiamo lì a guardarci: viso arrossato, fiato corto, occhi lucidi. Lui scuote la testa, sorridendo.
«Usciamo,» dice. «Che se restiamo in casa oggi, facciamo danni.»
Ci prepariamo. Indosso una felpa nera e un jeans, spruzzo il mio profumo preferito e usciamo.
Decidiamo di andare verso il mare. In macchina cantiamo come al solito, con quella leggerezza che ci prende quando siamo insieme. Arrivati, stendiamo il telo sulla sabbia e ci sediamo vicini.
Lo guardo mentre inspira a fondo, distende le spalle come se lasciasse andare un peso. Poi si sdraia, battendo la mano sul petto per farmi segno di stendermi con lui.