every breath you take || OLLY

By halfspokenwords

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A meno che tu non sia l'unica L'unica per me le altre le vedo Le altre si che le vedo Ma a te ti sento dentro... More

EVERY BREATH YOU TAKE
1. TRASLOCO
2. IL DISCO
3. STRETTA DI MANO
4. PER FINTA
5. CHEESECAKE
6. DONDOLO
7. STILOGRAFICA
8. REWIND
10. PASTA (SCOTTA)
11. PAGO IO

9. COSA VUOI SAPERE

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By halfspokenwords

ma a te ti sento dentro come un pugno

Sole

«Macché. Ferme, vi accompagniamo noi».
Boom. Boom. Boom.
Il cuore fuori dal petto.

La serata è stata surreale.
Di quelle che ti si imprimono nella mente, che ti restano incollate addosso per sempre.
Ho conosciuto un sacco di persone, tutte con un'energia bellissima. Erano lì per lui, per il bene di Federico.
Lui al settimo cielo. Non si è fermato un attimo. Ha cantato, ballato, scherzato, festeggiato.
Quando è circondato dalle sue persone, emerge un lato di lui che mi disarma: diventa buffo, leggero, l'anima della festa. È come se tornasse bambino con loro.

All'inizio Silvia e Chiara hanno provato a tirarmi in mezzo, a farmi cantare, ballare.
Con scarsi risultati.
Mi conoscono un pochino ormai, sanno che non è facile smuovermi.
Non è per "tirarmela", non è che non voglia.
Solo... mi sento spesso un pesce fuor d'acqua.
Loro si conoscono tutti. Io no.
Così, mi siedo e osservo.
Lo faccio spesso. Mi estraneo. Guardo le persone divertirsi da fuori, come se non ci fosse modo di farne parte davvero.
È bello da vedere. Emozionante. Ma dentro, fa anche un po' male.
Mi chiedo perché a me non riesca, perché senta sempre questo peso sul petto.

Mi sono ritrovata a parlare con Giada.
È stata una sorpresa.
Mi ha raccontato un po' della loro famiglia.
I loro genitori sono un magistrato e un avvocato. Mi ha detto delle facce che hanno fatto quando Federico ha detto che voleva fare il cantante. Ma anche di come, alla fine, non gli hanno mai tarpato le ali.
L'hanno lasciato volare.
E ora eccolo lì, nel suo cielo.

Poi è arrivato lui.
È riuscito a tirarmi in pista, a farmi restare, canzone dopo canzone.
Quando è partita Rewind, l'ho sentito stringermi.
E nella mia pancia... un branco di elefanti. Non farfalle: elefanti. In corsa.
È da quando sono arrivata a casa sua, nel pomeriggio, che mi sento su una giostra.
Salite, discese, curve strette.
Un'altalena continua tra testa e cuore.

Una cosa però l'ho notata.
Federico è molto fisico.
Con tutti.
Anche stasera ha abbracciato e stretto a sé chiunque. È il suo modo di comunicare. Di dare affetto.
Quindi no. Il fatto che sia stato vicino a me per la maggior parte del tempo... non vuol dire niente.
Non deve voler dire per forza qualcosa.
Devo ricordarmelo.
Devo.

Silvia annuisce alla proposta di Fede di accompagnarci.

Finalmente oggi ha potuto rivedere tutto il suo gruppo di amici. Era serena, con l'anima in pace. Come se fosse tornata davvero a casa.

"Sil, se vuoi restare, resta. Non hai esami nei prossimi giorni. E poi non è mai morto nessuno per un viaggio in treno da sola", le dico. Non voglio che se ne vada solo per starmi dietro. Tanto io sarò comunque persa tra appunti e tentativi di dormire, quindi non avrebbe senso.

"Non ci pensare, non ti lascio tornare da sola. Magari, appena finiamo entrambe, saliamo di nuovo per qualche giorno in più," dice scuotendo la testa con decisione.

"E se invece restassi tu?" le propongo. "Io vado a dare l'esame e poi torno. Stiamo qualche giorno qui e poi si torna insieme a Roma."

Le si illuminano gli occhi. Vuole restare, si vede lontano un chilometro.

"Davvero? Ti va?"

Annuisco, e lei mi butta le braccia al collo stringendomi forte.

"Grazie!"

"Non devi ringraziarmi, e soprattutto non devi rendere conto a me. Resta quanto vuoi. Ne hai bisogno, si vede. Sarò felice di tornare qui dopo sto maledetto esame" le sussurro all'orecchio.

Mi bacia la guancia e si stacca da me, con un sorriso nuovo stampato addosso.

"Dopo questo momento molto toccante," dice Juli, fingendo di asciugarsi una lacrima, "propongo: Fede accompagna Sole alla stazione. Tu invece," indica Silvia con un sorriso, "vieni con me."
Ci salutiamo, e io e Fede ci incamminiamo verso la sua macchina.

"Aspetta che accendo l'aria calda, si gela."
Annuisco, stringendomi nelle spalle. Il vestito non aiuta, e il freddo sembra essermi entrato dentro, fino alle ossa.

Lui mi lancia un'occhiata di lato, poi si toglie la giacca e senza dire nulla me la appoggia sulle gambe.
"Almeno una volta nella vita dovevo fare il gesto da gentleman," dice con una risata bassa.
Rido anche io, più piano. "Onorata di averti dato questa occasione."
Mi sistemo la giacca sulle cosce, cercando di mascherare il brivido — e non solo per il freddo.

"E quindi," riprende lui, "vai in stazione, aspetti da sola il treno e poi ti fai tre ore di viaggio."
Annuisco. "La dura vita di chi non è una popstar."
Lui sorride di lato, senza staccare gli occhi dalla strada.

Per qualche secondo c'è solo il rumore ovattato del motore. Poi, con voce più bassa, gli chiedo: "A cosa pensi?"
Lui si gira un attimo verso di me, poi torna a fissare la strada.
"A tante cose. Al disco. Alla paura che non arrivi come vorrei. Juli ha fatto un lavoro assurdo, ogni base è una bomba... ma io non so. Ho messo dentro troppo di me. Mi chiedo se basti."
Le parole gli escono tutte insieme, quasi in apnea.

"Non so quanto conti la mia opinione..." inizio, ma lui mi interrompe, stavolta con lo sguardo fisso nei miei occhi.
"Conta."
Lo dice piano, ma è fermo, deciso.
Mi si stringe qualcosa dentro. Non dico niente per un secondo, poi sorrido.

"Secondo me hai fatto un gran lavoro, Fede. È un disco che racconta, che tocca. Vero, profondo. Non c'è niente di costruito. E questo la gente lo sente. Lo sentirà."
Lui abbassa appena lo sguardo, e un sorriso gli sfiora le labbra. Non dice nulla, ma so che mi ha sentita. Davvero.

Poi, quasi senza pensarci, mi appoggia la mano sulla gamba, sopra la giacca. È un gesto semplice, ma mi arriva dritto allo stomaco.
Dio mio, Federico. Non così.

"Lo sai che sei l'unica che continua a chiamarmi Fede?" dice, senza togliere la mano. "Tutti gli altri mi chiamano Ico."
Sorrido, ma non mi sposto.
"È bello, Ico. Ma non penso di averti conosciuto ancora così a fondo da conoscere Ico" gli dico.
"Cosa vuoi sapere?"

Fingo di pensarci un attimo, poi mi volto verso di lui con uno sguardo che finge innocenza.
"Mh... non so, cose tipo: chi è la prima persona che chiameresti se succedesse qualcosa di brutto. Ma tipo, davvero brutto. Non vale dire tua madre, è troppo facile."

"Così, proprio leggera."
"Eh vabbè, ti aspettavi domande sul colore preferito? Quelle già le so."

Lui fa un mezzo sorriso, abbassa lo sguardo. Non risponde subito.
"Allora vuoi scavare proprio, eh."
"Un po'," dico alzando le spalle, "sei tu che ti sei offerto di farmi compagnia fino alla stazione. Dovevi aspettartelo che ti avrei fatto domande esistenziali."

Si gira di nuovo verso di me, e per un secondo mi guarda in quel modo lì. Quel modo che toglie il fiato.
"E tu?" chiede, piano. "Tu chi chiameresti?"

Rido, abbassando lo sguardo.
"Ehi, no. Questo era il mio turno. Non puoi rigirarla così."
"Troppo tardi. Regola numero uno: chi fa le domande, risponde per primo."

"Mi sa di fregatura, ma va bene."
Faccio una piccola pausa, poi continuo:
"Forse chiamerei Vanessa. Mia sorella. Non la vedo da un po', studia a Milano, sai? Vorrei vederla nei prossimi giorni. Anche se siamo lontane, e anche se non ci sentiamo tutti i giorni, so che se mi succedesse qualcosa... lei ci sarebbe. Correrebbe."

"È più grande di te?"
"Sì, di un anno. Lei è del 2001, io del 2002."
"Siete come me e Giada. Io 2001, lei 2002."

Faccio un finto sospiro drammatico.
"Eh vedi? È evidente. I 2002 sono chiaramente una generazione superiore: più ironici, più intelligenti, più simpatici..."
Lui scuote la testa, ridendo.
"E più modesti, soprattutto."

"Quindi, tu chi chiameresti?" ripropongo.
"Se non posso rispondere mamma ora come ora ti direi Julien o Alberto. Anche se nel caso fossi in reale pericolo, non so quanto mi sarebbero utili" rido immaginando la scena.

"Ora tocca a te fare la domanda."
"Che bambina sei stata?"
"Prima tu devi rispondere, lo hai detto tu prima," dico alzando le spalle.

"Credo di aver fatto un po' dannare i miei.
Mi dicono sempre che ero un terremoto, non stavo fermo un attimo. A scuola non ero proprio una cima, ecco... anzi, erano più le volte che finivo in presidenza che in classe. I risultati si vedono voglio dire,"
Fa una pausa, ma si vede che ha ancora qualcosa da dire.

"Poi boh, c'era questo lato mio che nessuno si aspettava: quando ero da solo diventavo tranquillo. Scrivevo, ascoltavo la musica, mi perdevo e via.
Era come se avessi due versioni: quella iperattiva da mostrare agli altri, e quella silenziosa che tenevo per me.
La seconda, credo, è quella che ora scrive canzoni."

Abbassa lo sguardo un attimo, poi torna a sorridere.
"Comunque continuo a essere un mezzo casino anche adesso, eh. Solo che adesso so mascherarlo meglio" lo ascolto attentamente. Me lo immagino da bambino. Mi ritrovo un po' in quello che dice.

"Tu invece?"
"In verità un po' mi ritrovo in quello che hai detto. Ero un piccolo terremoto anche io però andavo bene a scuola e non davo particolarmente fastidio a nessuno" dico
"Mai avuta neanche una nota, o un richiamo in presidenza? " mi interrompe lui.
Io scuoto la testa, "neanche un insufficenza" lui mi guarda scioccato
"Ma sei una delusione! Che razza di mostro sei" io rido per la sua reazione.

"Però ecco anche io, con gli altri sempre stata molto socievole e aperta però amavo, ed amo, anche la mia solitudine"

"Che facevi quando stavi da sola, oltre studiare da brava secchiona quale eri, è molto probabilmente sei ancora" io lo guardo storto prima di sorridere.
"Ascoltavo la musica, tantissima, mi chiudevo in camera con le cuffie e mi lasciavo andare. Unica cosa che non ho mai lasciato nella vita"

"Siamo più simili del previsto" dice lui e io acconsento.

"Dai abbiamo tempo per un' ultima domanda falla te" mi dice lui.
"Menomale che non ti andava di rispondere" aggiungo io.
"Solo perché sei interessante Ferrara" dice facendomi una sorta di occhiolino, che gli esce malissimo. Scoppiamo a ridere contemporaneamente. "Attento che con questi occhiolini, come se avessi un crampo all'occhio, fai innamorare mezza popolazione" dico fra le risate.
"È un talento naturale" dice alzando le spalle.

Ci guardiamo ancora ridendo, ma stavolta il silenzio dopo la risata dura mezzo secondo in più.
"Quindi?" chiede poi, con un sopracciglio alzato. "L'ultima domanda. È il tuo momento."
"Non ho idee, falla tu"
"Dai," dice lui piano, "non vale dire 'non lo so'. È l'ultima, e tu sei quella delle domande difficili."

"Ok. Ce l'ho."
"Paura."
"Se potessi congelare un momento, uno qualsiasi della tua vita, per tornarci ogni volta che vuoi... quale sceglieresti?"

"Rispondi"
"Giusto. Ti stupirò. Senza rivangare nel passato: il giorno che mi sono trasferita da Silvia. Non era un bel periodo, mi stavo chiudendo molto in me stessa, mi sentivo molto sola, ecco. Da quando ho conosciuto lei, e voi, la mia vita sta andando in un'altra direzione." dico con la voce un po' instabile.

Lui mi sorride.
"Sono contento. Non te l'ho detto prima, ma i miei amici — quelli che non avevi ancora conosciuto prima di stasera — mi hanno detto di invitarti di nuovo a uscire. Tutti insieme, intendo. Nessuno si è mai davvero avvicinato al nostro gruppo, siamo sempre stati solo noi, sai com'è... ci sembrava strano all'inizio.
Eppure, a quanto pare, la tua compagnia è piaciuta."

"Sono felice," rispondo, un po' sorpresa. "Siete un bel gruppo, mi piace stare con voi... quindi grazie. Sul serio."

Lui si volta verso di me, sorride e intanto stringe appena la presa sulla mia gamba.

"E tu?" chiedo piano. "Che momento congeleresti?"

Ci pensa un attimo.
"Forse il giorno del mio primo concerto. O una qualsiasi serata con i miei amici... anche se pure questo momento non è niente male."

Boom. Boom. Boom. Di nuovo.
Ci sorridiamo, e poi, quasi istintivamente, abbassiamo lo sguardo nello stesso istante.

"Siamo arrivati," dice frenando dolcemente.

"Hai già il biglietto?"
Scuoto la testa. "Devo farlo ora."

Scendiamo entrambi. Mentre ci avviciniamo alla biglietteria, mi mette un braccio intorno alla vita per farmi spostare verso l'interno del marciapiede.

"Salve, avrei bisogno di un biglietto per Roma. Quello che parte prima," dico al bigliettaio.

"Due," mi interrompe Federico. "Ne servono due."

SPAZIO AUTRICE:
Hello!!!!
Innanzitutto, grazie di cuore per le 1000 letture, tutte le stelline e ogni singolo commento😭😭.
Tutto super inaspettato! Grazie infinite.
Sono riuscita a sistemare questo capitolo giusto ora. Ho amato scriverlo, può sembrare lento, però serviva per approfondire il rapporto tra Fede e Sole.
Detto ciò, ci vediamo al prossimo capitolo! Vvb💋💋💋💋

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