every breath you take || OLLY
By halfspokenwords
A meno che tu non sia l'unica L'unica per me le altre le vedo Le altre si che le vedo Ma a te ti sento dentro... More
A meno che tu non sia l'unica L'unica per me le altre le vedo Le altre si che le vedo Ma a te ti sento dentro... More
ma a te ti sento dentro come un pugno
Federico
Non può venire.
Che cazzo. Mai una volta che vada tutto liscio.
"Frè, ho capito che ti rode che lei non possa venire, ma non è che ti ha detto 'non ti voglio mai più vedere'. Respira. Pensi di riuscire a festeggiare l'uscita del tuo disco per una sera senza quella faccia da cane bastonato?"
Juli mi prende in giro, come sempre.
E ha pure ragione.
Ne sto facendo un dramma. Lo so. Ma da quando sono tornato a Milano, ha preso il posto fisso nel mio cervello. Occupazione stabile. Nessun preavviso di sfratto.
Sono bastati quei due giorni insieme.
Ha mandato in frantumi tutti i miei buoni propositi, le difese costruite con cura.
Le ho scritto, mi ha scritto. Ci siamo sentiti ogni tanto. Mi raccontava dell'università, io le dicevo dello studio, dei pezzi, delle ore passate in loop sulle stesse note.
E stasera avrei voluto vederla. Solo questo.
Anche solo per un momento.
Anche solo per capire se quello che sento lo sento davvero... o lo sto solo immaginando io.
Il vero problema è: anche se lo capissi?
Anche se non mi fossi immaginato tutto, se lei davvero si presentasse qui e mi dicesse che ha sentito le stesse cose... poi? Che ce ne facciamo?
Lei vive a Roma, io a Milano. È immersa negli esami, io nella musica. Vederci sarebbe un incastro continuo, un casino.
Lei non vuole perdere tempo dietro qualcosa che non sia serio. E io, onestamente, non so se sono pronto a impegnarmi per davvero.
Un casino, sì.
Ma nonostante tutto... vorrei saperlo.
Vorrei sapere se potrebbe davvero valerne la pena.
Stufo dei miei pensieri, scuoto la testa e vado a sciacquarmi il viso.
Stasera alle 22.00 dobbiamo essere al locale.
Sono le 16.00, ho tutto il tempo di ricaricare le energie. Mi butto sul divano e cerco di dormire almeno un po'.
A svegliarmi è il suono insistente del campanello.
"Juli vai tu!" grido, cercando di farmi sentire con la voce ancora impastata.
Mi giro, nel tentativo di riprendere sonno.
Sento i passi di Julien che vanno verso la porta.
"Ma siete impazziti! Tutta l'acqua abbiamo preso! Diluvia e ci avete messo 8 ore ad aprirci la porta!"
La voce squillante di Silvia mi perfora i timpani.
Abbiamo preso. Aprirci. Plurale.
Allontano il pensiero illusorio dalla testa e mi tiro su a sedere sul divano.
"Oh ma..." sento Juli, seguito da uno "Shh zitto".
"È in salone, stava dormendo", aggiunge poi.
Confuso mi alzo e vado incontro alla scena.
Cazzo. Questo non era previsto.
«Ma... tu non avevi l'esame?»
Lei alza le spalle ridendo. Probabilmente per la mia faccia: metà assonnato, metà sconvolto.
«Okeey, io vi saluto,» dice Silvia stampandomi un bacio sulla guancia, «ora noi andiamo di là che dobbiamo rivedere delle cose, poi mi aiuti a ripassare, giusto?» si rivolge a Juli.
Lui annuisce sorridendo, poi si spostano nell'altra stanza.
Resto a guardarla.
Ha i capelli incollati al viso per la pioggia. Il trucco un po' colato. I vestiti zuppi.
Bellissima.
La abbraccio. Lei ricambia, timida.
«Come hai fatto ad arrivare?»
«Riparto stanotte. Così domattina riesco a essere a Roma per l'esame.»
La fisso e inclino la testa.
«Tu sei pazza, non dovevi.»
«Magari no, non dovevo, ma mi andava. Poi, se ti dispiace, me ne vado eh...» sorride con il suo solito sorrisetto furbo.
«Ma non ci pensare proprio», le scompiglio i capelli.
«Ti vado a prendere un asciugamano.»
Lei fa cenno di sì.
«Se hai anche qualcosa da mettermi addosso... ho solo il vestito per stasera, ed è scomodo. Solo per quello. Non pensavo di beccare tutta questa pioggia», dice tutto d'un fiato, visibilmente a disagio.
Annuisco e sorrido.
Torno da lei con un telo e dei vestiti.
«Il bagno è di là. Qui hai tutto: un asciugamano, dei pantaloncini vecchi e una maglietta. Ti starà tutto abnorme, ma... non abbiamo la stessa taglia.»
Lei scuote la testa divertita. Va verso il bagno.
Io resto fermo. La testa mi formicola.
Non me lo aspettavo.
È un gesto enorme. Lei tiene ai suoi esami come io tengo alla musica. E ha deciso di rischiare. Per essere qui.
Mi si smuove qualcosa nello stomaco. Di nuovo.
Vorrei restare da soli io e lei. Come a casa sua sul dondolo.
Lei esce.
Addosso ha i miei vestiti.
Cristo santo.
"Stai quasi meglio così. Servivo io per darti un po' di stile," la prendo in giro.
Mi fa la linguaccia e si siede accanto a me.
«Sei carico per questo disco allora? Quale traccia secondo te mi piacerà di più?»
«Molto carico anche se, sinceramente, mi sto cagando sotto. Ma tu, hai ascoltato qualcosa dello scorso album? Quale ti è piaciuta?»
«Mh... Tanto tanto L'amore va.»
«Allora forse Scarabocchi, o A noi non serve far l'amore.»
Annuisce, come se stesse prendendo appunti mentali.
Continuiamo a parlare.
Una cosa che mi piace di lei: riesce a rendere interessante anche l'ovvio. E se le lasci spazio, lei te lo riempie di pensieri puliti, lucidi, suoi.
«Alle 22 dobbiamo essere lì. Manca un'ora. Forse è il caso di iniziare a prepararci.»
Lei acconsente, ma poi mi blocca per il polso.
«È una cavolata, solo che... preferisco dartelo adesso, da soli. Lontani dagli occhi degli altri. Però non ti aspettare chissà cosa, è una stupidaggine.»
Parla in fretta, come sempre quando è in imbarazzo.
Mi tende un pacchettino, piccolo, con un fiocco argentato sopra.
La guardo. Il cuore mi si scioglie mentre lei sorride, incerta.
Rigiro il pacchetto tra le mani.
C'è un bigliettino attaccato con un pezzo di nastro adesivo:
"Che ti possa portare fortuna. Ti voglio bene. S."
È la sua grafia.
Sorrido senza accorgermene e la guardo. Ha le guance arrossate. È visibilmente a disagio, e la cosa mi fa tenerezza.
Scarto piano. Dentro c'è una penna stilografica.
Leggo la scritta incisa e sento un tuffo allo stomaco.
"È bellissima, davvero. Grazie mille."
Mi sporgo per abbracciarla e lei si tuffa tra le mie braccia.
Restiamo così.
Mi accarezza piano la schiena, io le lascio un bacio tra i capelli.
Sta diventando tutto troppo.
Troppo bello, troppo vicino, troppo reale.
Di nuovo. Siamo vicini, sento il suo respiro sul viso. Chiudo gli occhi un attimo. Appoggio la fronte alla sua.
"Che danno enorme stai facendo, Sole" dico sottovoce.
"Sapessi tu" mormora.
"Ti prego, aggiustati quei capelli: sembri un prete" è Julien che sgrida Alberto. Non sopporta più quei capelli.
"Beh, più o meno lo sono", ribatte.
"Perché saresti un prete?" chiedo.
"Che cosa fanno i preti?"
"La messa?" rispondiamo in coro io e Juli.
"Anche! Ma fanno i matrimoni, uniscono le coppie. E io penso di aver fatto un ottimo lavoro."
Lo guardo allucinato.
"Tu devi farti curare seriamente", sentenzio.
"Sicuramente, ma intanto concentriamoci sul fatto che lei sia qui, nonostante l'esame, solo per festeggiare il tuo disco. Tutti gli abbracci e i bacetti. Ah, e poi c'è un pacchettino firmato S. Chissà per chi è..."
"Questa del regalo me la sono persa", precisa Juli.
"Pensi di riuscire a farlo tu ora un mezzo passo avanti o aspettiamo che ti dica lei cosa devi fare?"
"Stronzo."
Poi mi guarda serio e mi mette una mano sulla spalla.
"A parte gli scherzi, è una bellissima ragazza, fuori quanto dentro. E smettila di negarlo: stravede per te. Te lo meriti. Ti farebbe bene. Non tutte vogliono strapparti via dalla tua musica e dai tuoi sogni, Fe. Lasciati andare. Sblocca ste emozioni, che ti fa bene. Ti si legge negli occhi che ti sta facendo uscire fuori di testa."
Abbasso lo sguardo e lo poggio sulla sua spalla.
"Grazie", sussurro.
"Sono, incredibilmente, d'accordo con Albi", aggiunge Juli prima di unirsi all'abbraccio.
Mi preparo per la serata. Il solito. Jeans neri strappati, camicia sbottonata, occhiali da sole e capelli spettinati.
Esco dal bagno. Gli altri sono già pronti.
Sole indossa un vestito di seta beige. Le sta benissimo.
Mando giù la saliva e faccio finta di nulla.
Tutti escono per andare verso le macchine. Io resto indietro, le afferro la mano e la tiro verso di me.
Camminiamo vicini. Le metto un braccio attorno al collo e mi chino verso il suo orecchio.
"Sei bellissima", le sussurro.
Lei mi sorride, ringrazia, ma abbassa subito lo sguardo, timida.
Arriviamo al locale.
La serata inizia tranquilla.
Saluti, strette di mano, foto, pacche sulle spalle.
Tutti si complimentano per il disco, alcuni citano le frasi che preferiscono, altri vogliono sapere di più sui prossimi progetti.
Io annuisco, sorrido, ringrazio, cerco di non perdermi.
Ma ogni tanto i miei occhi tornano lì.
A lei.
La vedo parlare con Silvia, ridere con Albi, ascoltare attenta Juli che le spiega chissà cosa.
A tratti si guarda attorno, e quando i nostri sguardi si incrociano, sorride.
Io faccio lo stesso. Poi torno a fingere di ascoltare chi mi sta parlando.
Ci troviamo a cantare le mie canzoni vecchie, alcune di Faber e i grandi classici della musica italiana.
Ovunque io sia, con i miei amici e con la musica sarà sempre festa.
La persona che però tormenta i miei pensieri sembra essersi volatilizzata. Non la vedo da nessuna parte.
Mi allontano un attimo dalla pista, cercando un po' di quiete, e la trovo.
È seduta a un tavolo, un gin tonic in mano. E accanto a lei... mia sorella.
Mi avvicino, confuso.
«Che ci fate voi insieme?» chiedo.
Si voltano entrambe. Giada ha un mezzo sorriso dipinto sul volto.
«L'ho praticamente investita mentre uscivo dal bagno. Ho rischiato di farla volare per terra. Le ho offerto un drink per rimediare... e ora siamo qui a parlare male di te.»
Bell'accoppiata. Quasi letale.
Sole ride piano.
«Beh, ho rischiato una caviglia, ma ci ho guadagnato un gin tonic e un posto a sedere.»
«Ah», riesco a dire soltanto, ancora un po' spiazzato.
Mia sorella si alza quasi subito.
«Bene, vi lascio soli a farvi gli occhi dolci. Vado a prendermi qualcosa da mangiare.»
Sbuffo.
«È molto carina, tua sorella», dice Sole.
«E tu sei brava a nasconderti.»
«Non mi sto nascondendo. Avevo solo bisogno di allontanarmi un attimo.»
«Da me?»
«Non solo.»
«Ora puoi venire di là con me?»
Lei abbassa lo sguardo.
«Fede, non devi pensare a me. Sei con i tuoi amici, goditi la serata, è la tua festa.»
Eccola lì. L'insicurezza. Quella che se la mangia viva e non le permette di godersi ogni momento.
«Ma guarda che sei assurda», rispondo subito. «Sto con i miei amici, mi sto divertendo, e voglio che ci sia anche tu. Ti chiedo di venire perché mi fa piacere averti intorno, Sole. Non perché mi senta obbligato. Dai, alzati e vieni a fare festa.»
Lei mi guarda ancora un attimo, poi si alza.
Le prendo la mano e la porto con me, in mezzo al delirio.
La trascino sulla pista, tra i miei amici. Stanno ancora cantando, ridendo, sudati e felici.
Parte una nuova canzone. Le prime note sono riconoscibili da subito. Rewind, Vasco.
Sole sgrana gli occhi appena la riconosce. Mi avvicino alle sue spalle e la circondo con le braccia.
Afferro un microfono.
Cantiamo insieme. Lei ride, ma tiene il ritmo. Mi stringe piano mentre la folla urla il ritornello.
Quando Vasco canta "ma a te ti sento dentro come un pugno", la stringo un po' di più.
E lo sento davvero, quel pugno. Alla bocca dello stomaco. Forte.
Ma bello.
Tutti saltano, ballano, ridono. La festa è viva, ed è vera.
Poi parte il countdown.
«7... 6... 5...»
Le voci si alzano.
«3... 2... 1... Zerooo!»
È mezzanotte.
Il disco è fuori.
Tutta vita non è più solo mio.
È di chiunque voglia ascoltarlo, farlo proprio, trovarci dentro qualcosa di sé.
È come consegnare un pezzo di pelle e sperare che qualcuno, da qualche parte, ci si riconosca.
È la fine di un percorso e l'inizio di qualcosa che non posso controllare.
È vertigine. Ma anche libertà.
Julien è il primo a corrermi incontro. Ci abbracciamo forte.
«Ce l'abbiamo fatta», gli dico.
Poi arrivano i miei. Mia madre ha le lacrime agli occhi, mio padre mi stringe in silenzio.
Giada, ovviamente, mi pizzica il fianco e poi mi abbraccia anche lei.
Tutti quelli che lavorano con me, i miei amici.
E infine... Sole.
Si avvicina con un sorriso appena accennato.
«Chissà se meriterà un posto tra i miei album salvati», dice ironica. Poi mi lascia un bacio sulla guancia.
«Speriamo di sì, oh», rispondo incrociando le dita a mo' di scongiuro. Lei scoppia a ridere.
Poco a poco la serata si spegne. I saluti si rincorrono, qualcuno è già andato via.
Restiamo gli ultimi.
Usciamo dal locale. L'aria è fresca, c'è odore di pioggia.
«Hai tutto, no? Chiamo un taxi al volo e corriamo in stazione», dice Silvia rivolta a Sole.
«Macché. Ferme, vi accompagniamo noi», intervengo subito.
La guardo. Sta per andar via. E io non sono affatto sicuro di volerla lasciare andare così.
SPAZIO AUTRICE:
Finalmente sono riuscita a pubblicare! 🥂
Sono giorni pienissimi per me, però sto cercando di scrivere il più possibile.
Io innamoratissima di come Fede descrive Sole 😭😭.
Vi aspetto per il prossimo, grazie di tutto come sempre! 💋💋💋