every breath you take || OLLY
By halfspokenwords
A meno che tu non sia l'unica L'unica per me le altre le vedo Le altre si che le vedo Ma a te ti sento dentro... More
A meno che tu non sia l'unica L'unica per me le altre le vedo Le altre si che le vedo Ma a te ti sento dentro... More
ma a te ti sento dentro come un pugno
Federico
"Sto arrivando, giuro... neanche due minuti e sono lì!" cerco di spiegare al telefono a Julien — il mio produttore, ma anche l'amico più fraterno e rompicoglioni che io abbia. Dovevamo vederci in studio alle 14:00, ma causa pennica post-pranzo potrei aver sforato leggermente l'orario. Parcheggio nel piazzale ed entro in studio.
"Ce l'hai fatta, dai, sono solo le 15:12" mi accoglie con la sua solita ironia, mentre io mi lancio a peso morto sul divano.
Penso di aver dormito più notti su questo divano che nel mio letto negli ultimi due mesi. Stiamo finendo di registrare e produrre il disco, e spesso si va avanti fino a notte fonda.
"Oggi dobbiamo registrare almeno Il campione e I cantieri del Giappone, così ho tempo di sistemare produzioni e arrangiamenti durante la settimana, e la prossima siamo pronti per presentarlo alla discografica" mi aggiorna.
Io amo cantare, scrivere, ascoltare le produzioni, comporre, rifinire, rifinire ancora... ma tutto ciò che rientra sotto la voce "burocrazia" mi provoca una reazione allergica.
"Marta ora è a Roma, ci ha chiesto di raggiungerla lì così può ascoltare il disco e avviare le pratiche per la SIAE" informo Julien, che annuisce e mi passa le cuffie. È ora di mettersi al lavoro.
Le note della sua chitarra iniziano a riempire lo studio. Io scaldo la voce e attacco con Il campione. È l'ultima traccia del disco, quella che racchiude il senso di Tutta vita. Non si molla nemmeno quando non hai più le forze. Anzi, è proprio lì che Il campione deve dimostrare di esserlo davvero.
Finisco di cantare e vedo Julien che mi fa il pollice in su. Sorrido soddisfatto e mi tolgo le cuffie.
"Perfetta," dice, mentre salva la registrazione sul computer.
"Caffè e sigaretta. Ne ho bisogno come l'aria" annuncio, dirigendomi alla macchinetta. Preparo due caffè, prendo le sigarette e torno sul divano.
Fumo da anni, ormai ho perso il conto. Ho iniziato per noia e poi è diventata abitudine. Di quelle che si infilano nelle giornate come se avessero il diritto di starci. Ogni pausa, ogni momento morto, ogni canzone finita in studio... sigaretta. Lo so che esagero. Lo sanno anche i miei polmoni, che ogni tanto mi mandano qualche segnale poco sottile. Ma mi aiuta a calmarmi, a staccare, a spegnere il cervello quando gira troppo veloce. È come se, per qualche minuto, tutto si rallentasse e io potessi respirare meglio — anche se, paradossalmente, sto facendo l'esatto contrario.
Accendo la mia sigaretta e avvicino la fiamma del mio Clipper a quella di Julien. "Mi sto cagando sotto per questo disco," confesso. Il secondo album è quello della verità: o dimostri di avere qualcosa da dire, o sparisci nel dimenticatoio.
"Stiamo facendo un buon lavoro, Ico. C'è tutto il tuo mondo. Le persone lo capiranno," mi rassicura.
"Il nostro mondo. C'è tutto il nostro mondo," lo correggo.
Faccio musica da un bel po'. Ho lavorato con diversi produttori, ma con nessuno avevo mai trovato una sintonia che andasse oltre il suono. Julien l'ho conosciuto in un momento incasinato, quando ero senza produttore. Si è offerto di aiutarmi e da lì non ci siamo più mollati. Si è creato un legame che va oltre la musica: siamo mamma e papà di questo disco. E speriamo che ci dia un bello slancio, anche emotivo.
La giornata scorre tra registrazioni, revisioni e pause-sigaretta sincronizzate. Ogni tanto ci scambiamo uno sguardo complice, di quelli che dicono: oh, lo stiamo facendo davvero.
"Abbiamo ufficialmente finito di registrare Tutta vita," dice Julien alle tre di notte, lasciandosi cadere a terra come un pugile dopo l'ultimo round.
Io applaudo e gli salto addosso con un abbraccio. "Siamo fortissimi, cazzo!"
"Ci vediamo domani. Stai attento," mi saluta mentre infilo la giacca.
"Sì, mamma. Non ti preoccupare," lo prendo in giro, e mi avvio verso la macchina, con la soddisfazione ancora addosso.
Mi rigiro nel letto per l'ennesima volta. Fuori Milano da dimostrazione delle sue temperature gelide che combatto con il mio piumone. Sento la suoneria del telefono, mi allungo controvoglia cercando il telefono a tastoni sul comodino e maledicendo chiunque sia.
"Buongiorno principessa, ti ho svegliato?" La voce energica di Alberto mi perfora i timpani. Un tipo di risveglio che non augurerei nemmeno al mio peggior nemico.
"Che ti manca?" sbiascico, cercando di farlo arrivare al punto il più in fretta possibile.
"Sono appena sceso dal treno, sto alla stazione da solo. Chiara è rimasta a Roma per lavorare, e avrei bisogno di un amico fidato, gentile e super disponibile che venga a recuperarmi..."
Sbuffo sonoramente, alzando gli occhi al cielo anche se nessuno mi vede. "Bene, controlla bene la rubrica, qualcuno lo trovi. Ciao," dico, ma intanto mi sto già alzando e cercando qualcosa da mettermi addosso.
"Dai frè, fai presto, mi sono già rotto le palle a stare qui. C'è pure puzza di fogna."
"Ti odio. Arrivo."
E così mi butto nel traffico milanese delle 10:30 di mattina. Raggiungo la stazione e gli scrivo che sono parcheggiato fuori. Dopo pochi secondi, lo vedo spuntare. Sale in macchina e, come sempre, la sua energia — a tratti amabile, a tratti insopportabile — mi investe in pieno.
"Grazie Fede, sei un angelo. Anzi, l'intero paradiso. Comunque: mentre ero in treno ho pensato a un programma niente male. Tanto oggi non dovete registrare, giusto? Allora: andiamo a prendere Juli, passiamo a prendere un po' di carne, vino e un paio di amari, e ce ne andiamo alla casa al lago. Magari sentiamo anche gli altri, se si vogliono unire. Bell'idea, no? Dai, andiamo!"
Dice tutto d'un fiato, come se fosse la cosa più logica del mondo. Io lo guardo per qualche secondo, ancora mezzo addormentato, cercando di processare tutte quelle parole. Poi mi scappa un sorriso. In fondo ha ragione: una giornata off, ogni tanto, ci vuole.
Appoggio la sua idea e metto in moto.
Arriviamo alla casa al lago per le 12:30. Qui ho scritto un sacco di canzoni e creato una marea di ricordi. Basta uno sforzo per rivederli tutti: le cene infinite con gli amici, le chitarre, le risate, i brindisi improvvisati. È uno di quei luoghi che diventano sacri senza accorgertene. Quelli che, da vecchi, racconteremo come "i giorni più belli della nostra vita" anche se li stiamo ancora vivendo adesso.
Sistemiamo la spesa: abbiamo comprato roba da mangiare e da bere come se dovessimo sfamare un esercito. Ma va bene così. Sicuramente stasera verrà qualcuno a cena, per festeggiare — come si deve — la chiusura del disco.
Ci sistemiamo sul divano e accendiamo la Play, come ai vecchi tempi. Non ci mettiamo molto a trasformare il salotto in una piccola arena. Facciamo diverse partite, una dietro l'altra, tra risate, sfottò e birre aperte a metà.
La cosa più divertente — e anche la più prevedibile — è vedere Alberto sbroccare ogni volta che perde. Cioè, sempre. A ogni sconfitta parte con il suo solito show. Juli, invece, riesce a giocarsela. Non vince spesso, ma almeno non perde la dignità.
Tra una partita e l'altra il pomeriggio vola. Quando ci rendiamo conto che sono già le 18:30, ci alziamo per iniziare a preparare il barbecue. Mentre sistemiamo tutto — griglia, carne, colonna sonora di sottofondo — iniziamo a parlare un po' di tutto: del disco, ovviamente, ma anche della Sampdoria, di Genova, dei prossimi giorni.
Alberto è parte del team a tutti gli effetti ormai, anche se il suo contratto non prevede altro che presenze fisse, battute e caos. Lo aggiorniamo sugli spostamenti della prossima settimana: Roma, presentazione del disco, incontro con la discografica.
"A proposito di GE, l'altro ieri ho visto Silvia," dice a un certo punto Alberto.
Silvia e Beatrice sono sempre state le uniche due ragazze del nostro gruppo. Con Silvia ho un rapporto speciale, ci conosciamo da più tempo. È come se fosse mia sorella: abbiamo condiviso tutta l'adolescenza, quelle fasi in cui non capivamo niente nemmeno di noi stessi, eppure eravamo sempre lì, uno per l'altra. Una di quelle presenze che non si fanno sentire ogni giorno, ma sai che ci sono. Punto.
"Mi manca un po', devo dire," rispondo dopo un attimo. "Saranno cinque mesi che non la vedo, da quando è salita per Pasqua."
"E allora approfittiamo," dice subito Juli. "Settimana prossima siamo a Roma. Organizziamo qualcosa. Cena, pranzo... quello che viene."
"Qui vi volevo," dice Alberto soddisfatto. "Ci ho già pensato io. Siamo stati a cena da lei e dalla sua nuova coinquilina, e abbiamo stabilito che settimana prossima organizziamo qualcosa."
"Per me si può fare," dice Juli spegnendo la sua sigaretta nel posacenere.
"Ma... ci sta anche la coinquilina?" chiedo, più per curiosità che per altro. Non ho voglia dell'ennesima cena con gente che non conosco. Il lavoro già mi porta a stare sempre con volti nuovi, contatti da salvare, nomi da ricordare. A volte ho solo bisogno delle mie persone. Quelle vere.
"Sì ci sarà, le ho chiesto io di organizzare anche con lei, è simpatica e alla mano, è pure una bella ragazza, non ti puoi lamentare" specifica Alberto.
Alzo gli occhi al cielo teatralmente ma confermo la mia presenza, un po' per mettere fine al discorso, un po' perché in fondo è vero: non è che mi abbiano chiesto di fare chissà che. È solo una cena. Una come tante.
Per le 19:00 arrivano tutti gli altri, e la serata prende vita. Tra chi porta vino, chi dimentica di portare il dolce e chi arriva solo per mangiare, il tavolo si riempie in un attimo e le risate iniziano a scorrere più veloci del prosecco. Finiamo di cenare tra brindisi, battute, sigarette che girano e aneddoti raccontati male.
È così che immagino il paradiso, sinceramente. Solo noi, una griglia mezza spenta, una bottiglia passata di mano in mano e il silenzio rotto solo da chi sta per dire una cavolata. Sono queste le serate che fanno da motore alla mia vita, quelle che ti rimettono in carreggiata anche quando non te ne rendi conto. Mi sento leggero, come se per una volta nessuno si aspettasse niente da me. Nessun palco, nessuna foto, nessun "Olly". Solo Federico, e basta. Che poi mi piace fare Olly, certo. Ma ogni tanto fa bene ricordarsi com'è essere semplicemente te stesso, senza filtri, senza ruoli.
Senza di loro sarei probabilmente un mezzo disastro. O un disastro intero, a seconda della settimana. Mi servono per rimanere con i piedi per terra, per non farmi travolgere da tutto il resto. Non c'è bisogno di grandi discorsi o gesti plateali. Serve solo esserci. Quando c'è il sole e quando piove. E loro, in questo, sono dei fuoriclasse. Il tipo di amici che se ti perdi, ti aspettano. E se ti incasini, non ti giudicano: si incasinano con te.
Mi risveglia dalle mie riflessioni Julien, che si alza e prende la chitarra. Si siede, sistema la cinghia tra le braccia, pizzica le corde e inizia a suonare. Io lo seguo con la voce, come facciamo sempre, ma il vero spettacolo sono i nostri amici: battono le mani a tempo, accendono gli accendini, stonano con passione e trasformano tutto in una piccola magia.
Restiamo così per tutta la sera. A cantare le nostre canzoni, ma anche quelle degli altri. Perché la musica ha questo potere incredibile: unisce, livella, fa sentire tutti parte di qualcosa. Nel mio caso, ha una funzione quasi salvifica— mi toglie dai pensieri pesanti, mi libera dalle paranoie, mi fa sentire meno solo dentro certe emozioni che a volte sembrano solo mie, ma non lo sono mai davvero.
La serata finisce come finiscono sempre le cose belle: con un po' di disordine, abbracci lunghi e bicchieri lasciati a metà. Ci salutiamo e ognuno prende la propria strada. Io, Juli e Albi rimaniamo a sistemare il disastro lasciato intorno al tavolo — tovaglioli, briciole, bottiglie vuote ovunque.
Poi ognuno si ritira nella sua stanza per dormire.
Io mi butto sul letto, ancora con la pancia piena e la testa leggera. Prendo il telefono e, come sempre, comincio a scrollare per stancarmi abbastanza da addormentarmi. Passo da un social all'altro, controllo Instagram, guardo i like alle storie, rispondo a qualche DM. Qualche fan che mi scrive, qualcuno che mi manda una canzone. Piccole cose che mi fanno piacere e che ormai fanno parte della routine.
Sto per spegnere tutto, quando mi arriva un'ultima notifica.
La leggo. Nulla di strano. Spengo il telefono e cerco di addormentarmi.
SPAZIO AUTRICE:
Helloo!!
Innanzitutto grazie mille a chi ha speso del tempo per leggere questi primi capitoli. Soprattutto grazie a chi ha lasciato una stellina o un commento, mi servono per capire se quello che ho scritto funziona. 💋💋
Questi capitoli sono pensati per capire le vite dei personaggi e conoscerli meglio. Le dinamiche tra di loro sono ancora tutte da vedere, ma servirà un po' di pazienza. ❤️