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every breath you take || OLLY

Fanfiction

A meno che tu non sia l'unica L'unica per me le altre le vedo Le altre si che le vedo Ma a te ti sento dentro come un pugno

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"Ma siete impazziti! Tutta l'acqua abbiamo preso! Diluvia e ci avete messo 8 ore ad aprirci la porta!"
La voce squillante di Silvia mi perfora i timpani.

Abbiamo preso. Aprirci. Plurale.
Allontano il pensiero illusorio dalla testa e mi tiro su a sedere sul divano.
"Oh ma..." sento Juli, seguito da uno "Shh zitto".
"È in salone, stava dormendo", aggiunge poi.

Confuso mi alzo e vado incontro alla scena.

Cazzo. Questo non era previsto.

«Ma... tu non avevi l'esame?»
Lei alza le spalle ridendo. Probabilmente per la mia faccia: metà assonnato, metà sconvolto.

«Okeey, io vi saluto,» dice Silvia stampandomi un bacio sulla guancia, «ora noi andiamo di là che dobbiamo rivedere delle cose, poi mi aiuti a ripassare, giusto?» si rivolge a Juli.
Lui annuisce sorridendo, poi si spostano nell'altra stanza.

Resto a guardarla.
Ha i capelli incollati al viso per la pioggia. Il trucco un po' colato. I vestiti zuppi.
Bellissima.

La abbraccio. Lei ricambia, timida.
«Come hai fatto ad arrivare?»
«Riparto stanotte. Così domattina riesco a essere a Roma per l'esame.»
La fisso e inclino la testa.
«Tu sei pazza, non dovevi.»
«Magari no, non dovevo, ma mi andava. Poi, se ti dispiace, me ne vado eh...» sorride con il suo solito sorrisetto furbo.
«Ma non ci pensare proprio», le scompiglio i capelli.

«Ti vado a prendere un asciugamano.»
Lei fa cenno di sì.
«Se hai anche qualcosa da mettermi addosso... ho solo il vestito per stasera, ed è scomodo. Solo per quello. Non pensavo di beccare tutta questa pioggia», dice tutto d'un fiato, visibilmente a disagio.
Annuisco e sorrido.

Torno da lei con un telo e dei vestiti.
«Il bagno è di là. Qui hai tutto: un asciugamano, dei pantaloncini vecchi e una maglietta. Ti starà tutto abnorme, ma... non abbiamo la stessa taglia.»
Lei scuote la testa divertita. Va verso il bagno.

Io resto fermo. La testa mi formicola.
Non me lo aspettavo.
È un gesto enorme. Lei tiene ai suoi esami come io tengo alla musica. E ha deciso di rischiare. Per essere qui.
Mi si smuove qualcosa nello stomaco. Di nuovo.
Vorrei restare da soli io e lei. Come a casa sua sul dondolo.

Lei esce.
Addosso ha i miei vestiti.
Cristo santo.

"Stai quasi meglio così. Servivo io per darti un po' di stile," la prendo in giro.
Mi fa la linguaccia e si siede accanto a me.

«Sei carico per questo disco allora? Quale traccia secondo te mi piacerà di più?»
«Molto carico anche se, sinceramente, mi sto cagando sotto. Ma tu, hai ascoltato qualcosa dello scorso album? Quale ti è piaciuta?»
«Mh... Tanto tanto L'amore va.»
«Allora forse Scarabocchi, o A noi non serve far l'amore.»
Annuisce, come se stesse prendendo appunti mentali.

Continuiamo a parlare.
Una cosa che mi piace di lei: riesce a rendere interessante anche l'ovvio. E se le lasci spazio, lei te lo riempie di pensieri puliti, lucidi, suoi.

«Alle 22 dobbiamo essere lì. Manca un'ora. Forse è il caso di iniziare a prepararci.»
Lei acconsente, ma poi mi blocca per il polso.

«È una cavolata, solo che... preferisco dartelo adesso, da soli. Lontani dagli occhi degli altri. Però non ti aspettare chissà cosa, è una stupidaggine.»
Parla in fretta, come sempre quando è in imbarazzo.

Mi tende un pacchettino, piccolo, con un fiocco argentato sopra.
La guardo. Il cuore mi si scioglie mentre lei sorride, incerta.

Rigiro il pacchetto tra le mani.
C'è un bigliettino attaccato con un pezzo di nastro adesivo:
"Che ti possa portare fortuna. Ti voglio bene. S."
È la sua grafia.
Sorrido senza accorgermene e la guardo. Ha le guance arrossate. È visibilmente a disagio, e la cosa mi fa tenerezza.

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