Colgo con la coda dell'occhio Alberto che bisbiglia a Silvia dietro la mano: «Già usa il plurale. Siamo sulla buona strada, collega.»
«Alberto, scappa adesso. Hai trenta secondi di vantaggio prima che ti riempia di botte,» dico senza nemmeno voltarmi.
Risate. Lui porta la mano alla fronte come un soldato sull'attenti. «Ricevuto». La serata riprende a scorrere tranquilla. Torniamo in sala, ci stendiamo sul divano e continuiamo a raccontarci tutto quello che è successo negli ultimi giorni.
Sono le 00:30 quando Silvia sbadiglia sonoramente. Siamo tutti un po' stanchi e anche leggermente brilli. Decidiamo che è giunta l'ora di concludere.
«Ma ora voi tornate subito a Milano?» chiede Silvia.
«No, in realtà restiamo a Roma almeno fino a metà della prossima settimana. Dobbiamo sistemare ancora qualche dettaglio del disco con la discografica» rispondo, passandole un braccio sulle spalle in modo del tutto naturale.
Lei quasi salta dalla gioia. «Allora c'è ancora tempo per rivederci! Però basta stare a casa, sto diventando un pezzo d'arredamento. Domani si esce.»
Poi si gira verso Sole: «E se andassimo in quel locale che abbiamo visto stamattina? Ho sentito dire che è carino.»
Sole annuisce, con un sorrisetto. «Per me va bene.»
Mentre tutti si avviano a prendere le giacche, mi avvicino a Sole. «Scambiamoci i numeri davanti a loro, voglio proprio vedere le loro facce» le sussurro, forse un po' troppo vicino. Riuscirei a contare le lentiggini che le chiazzano il volto.
Lei mi lancia uno sguardo malizioso, quasi divertito. Poi, senza dire nulla, annuisce. Ci avviciniamo all'ingresso, e io tiro fuori il telefono con fare teatrale.
«Ti va di lasciarmi il tuo numero? Così, giusto per poterci risentire nel caso.» La frase è recitata a metà tra l'ironia e il mezzo serio. Lei alza lo sguardo, mi fissa dritto negli occhi per un secondo di troppo, poi sorride e mi prende il telefono dalle mani.
Digita il numero lentamente, con una calma esasperante, poi me lo restituisce. Mi fa l'occhiolino e si volta per salutare gli altri.
Io resto lì per un attimo, con il telefono ancora in mano e il cervello mezzo in cortocircuito. Federico, riprenditi. Era solo una piccola messa in scena per prendere in giro Silvia e Alberto. Tutto sotto controllo. Forse.
Salgo in macchina e mi dirigo verso l'hotel dove stiamo. Io e Juli dividiamo una stanza, mentre Chiara e Alberto sono nell'altra.
Appena arrivo, mi cambio al volo, mi lavo i denti e mi butto sul divano. Il mio pacchetto di Winston Blue sul tavolino: ora sì che posso dire di essere a posto.
Durante il tragitto in macchina mi sono venute in mente un paio di frasi. Apro le note dell'iPhone e inizio a scrivere: Ma che ingiustizia è questa? Ho ancora te in testa. Allora che cazzo vuoi da me?
Ogni riferimento è puramente casuale. Sbuffo e poso il telefono al mio fianco. Mi accendo una sigaretta e fisso le luci fuori dalla finestra, la città eterna che brilla anche a quest'ora.
Vibrazione. Una notifica illumina lo schermo del telefono.
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